Intervista a Aurelio Frosini – A.C. Capostrada Belvedere

Mi chiamo Aurelio e sono un difensore centrale nelle giovanili del Capostrada Belvedere. La mia carriera da calciatore è stata un cambio di ruoli continuo. Ho iniziato a giocare a pallone abbastanza tardi, a 10 anni, dopo aver fatto nuoto negli anni delle elementari. Poi mi lasciai convincere dal mio migliore amico che giocava dell’Avanguardia, una scuola calcio di Pistoia, e decisi di seguirlo passando dalla piscina al campo.

Trovandomi in un gruppo di bambini con già qualche anno di esperienza calcistica, il mio primo mister decise di mettermi all’attacco, il ruolo dove chi è più scarso combina meno danni. Poi cambiai squadra, passai al Pistoia Nord, e il mio allenatore in quella squadra, il grande mister Egidio che ora ci guarda dal cielo, ebbe fiducia in me e mi reinventò interno di centrocampo. Fu lui a trasmettermi la mentalità da calciatore serio oltre che la passione nel giocare la palla e cucire il gioco. Poi mi sono trasferito al Capostrada, dove gioco ancora oggi, e dove essendoci un’emergenza in difesa mi è stato chiesto di arretrare ancora di più, iniziando una nuova vita calcistica come difensore.

L’emozione più bella della mia vita di calciatore è stata la prima partita ufficiale alla fine della pandemia, tre anni fa: dopo un anno e più senza calcio non ci sembrava vero di tornare a giocare, ed eravamo tutti contenti matti; io, i miei compagni, gli avversari, l’arbitro. Non ricordo nemmeno quanto finì quella partita. Mi ricordo solo che fu una festa. Ogni partita per me nel suo piccolo è un evento. Lo sport allena il mio carattere: è una continua sfida con me stesso, per migliorarmi sempre di più e per crescere insieme alla mia squadra, anche se nella nostra categoria si gioca solo per divertimento e non per lavoro. Con i miei compagni del Capostrada facciamo un campionato regionale e al momento navighiamo a metà classifica: la mia impressione è che la nostra squadra sia più forte rispetto alla classifica che ha ora, solo che finora ci è mancata proprio la consapevolezza di essere forti. In diverse partite invece di osare qualcosa in più e prenderci qualche rischio, ci siamo adagiati e abbiamo rinunciato a giocare. Io comunque sono fiducioso che nelle prossime partite riusciremo a fare meglio. Nel frattempo un salto di qualità a livello di convinzione in noi stessi lo abbiamo iniziato a fare grazie al progetto Figc “Non solo piedi buoni”, che  con due miei compagni di squadra mi ha portato a visitare il carcere di Pistoia passando due ore con una decina di detenuti. Nella prima ora abbiamo giocato a pallone in uno dei campi di calcetto più particolari della mia città: una striscia sottilissima e molto consumata di moquette verde come terreno di gioco, e poi le sbarre delle celle al posto della tribuna, e le due porte non di metallo ma semplicemente disegnate sui muri, con i pali e la traversa ridotti a tre strisce bianche di vernice. E’ stato emozionante mescolarci a questi ragazzi di diverse età e giocare con loro, scambiando due chiacchiere anche con le diverse decine di detenuti presenti a bordo campo per assistere alla partita e applaudire le nostre giocate più belle. Non mi aspettavo una sfida così intensa: ci siamo stancati quasi come in un allenamento del Capostrada! E’ stato bello soprattutto sapere che questa finestra di sport per i nostri nuovi amici detenuti è stata possibile grazie alla nostra presenza, perché normalmente (ci hanno spiegato i ragazzi) nel pomeriggio il carcere per motivi organizzativi non prevede attività sportive. E’ stata bella anche l’ora successiva, che abbiamo trascorso in una sala comune seduti in cerchio per presentarci e fare un po’ di conversazione. Sono venute a salutarci la direttrice della casa circondariale e la responsabile dell’area educativa che ci hanno promesso di venire a fare il tifo per noi in una delle prossime partite del Capostrada, cercando di fare ottenere un permesso premio ad alcuni dei detenuti nostri compagni di partitelle per avere anche qualcuno di loro a bordo campo.

Non avevamo orologio né telefono, ma il tempo è volato. I ragazzi detenuti, da veri appassionati di calcio, volevano sapere tanti particolari sui nostri allenamenti e sulla nostra squadra, ma anche quale scuola frequentiamo e di quale parte di Pistoia siamo. E poi a loro volta ci hanno dato qualche flash sulla propria vita dietro le sbarre: la solidarietà che c’è fra tanti di loro, la sofferenza per la lontananza dai loro cari e per la sensazione di restare sempre più indietro rispetto al mondo fuori che mentre loro scontano la pena continua ad andare avanti ed a cambiare.

Al momento di salutarci ci siamo scambiati complimenti e pacche sulle spalle con grande naturalezza. Io e i miei compagni di squadra ci siamo sentiti accolti. Speriamo di trascorrere tanti altri mercoledì pomeriggio con questi ragazzi in carcere, da qui a maggio. La Federazione e la direzione del carcere ci hanno fatto un bel regalo collegando la nostra squadra con la casa circondariale. Per noi sarà una bella occasione di imparare tante cose dalle storie di vita dei detenuti: dai loro errori ma anche dalla loro voglia di cambiare capendo in modo diretto come funziona il mondo della giustizia penale. E soprattutto cercando di essere utili a questi ragazzi che oggi abbiamo iniziato a conoscere. Una società di calcio è come una grande famiglia, con tante squadre, tanti atleti, tanti adulti che fanno volontariato. Io e i miei compagni del Capostrada abbiamo un luogo bello dove invitare questi ragazzi al momento in cui torneranno in libertà e avranno bisogno di trovare degli amici veri fuori dal carcere: nella nostra società sportiva si buttano giù i pregiudizi e c’è posto per tutti. Il futuro di queste persone conosciute oggi in carcere dipende anche da noi.