Mi chiamo Francesca e sono l’esterno di centrocampo della squadra Under 17 della Bellaria. La mia passione per il calcio è nata nel giardino di casa grazie al mio fratello maggiore che, quando eravamo bambini, mi ha insegnato per centinaia di pomeriggi a calciare, stoppare e passare il pallone in tutti i modi.
Il calcio era il mio passatempo preferito, fin da piccolina: non solo in giardino ma anche davanti alla tv, con l’Inter diventata la mia squadra del cuore. Così al momento di scegliere uno sport da praticare anche a livello agonistico, ai tempi delle elementari, per me fu naturale chiedere ai miei genitori di iscrivermi a una squadra di calcio. A differenza di altre bambine che ancora oggi devono combattere contro la resistenza dei genitori e contro il pregiudizio del “calcio sport da maschi”, io sono stata fortunata a nascere in una famiglia immersa nel pallone. La mia mamma quando andavo alle elementari gestiva il bar del campo delle Melorie dove si allevavano le giovanili del Ponsacco Academy (società presieduta dal compagno di mia mamma) e così sono stati loro, insieme a mio padre, a spianarmi la strada e indirizzarmi sulla squadra di calcio dei bambini della mia età. Quando cominciai ero l’unica femmina in una squadra interamente composta da maschi; inserirmi nel gruppo per me è stato facilissimo, al di là della mia diversità. Ricordo l’emozione del primo gol ufficiale, in una partita sette contro sette: una bella conclusione al volo su azione di calcio d’angolo. Ottimo anche il rapporto con i vari mister del Ponsacco che ho avuto. Le uniche piccole difficoltà sono state a livello logistico, cioè la necessità di avere uno spogliatoio solo per me: di solito mi sistemavano nello spogliatoio dell’arbitro, ma nelle partite in trasferta ne ho visti di tutti i colori, di cosiddetti spogliatoi; a volte mi piazzavano in dei veri e propri sgabuzzini e mi toccava fare la doccia a casa un’ora dopo la fine della partita. Ma queste scomodità sono cose superabilissime e per certi versi anche divertenti.
Per niente divertenti, invece, sono state le frasi velenose e sessiste che a volte qualche genitore della squadra avversaria mi rivolgeva urlando cose del tipo “oh bimba, ma torna a giocare con le bambole, vai!”. Insomma, voi non ci crederete, ma io a giocare in una squadra maschile mi trovavo così bene che quando, a 12 anni, fui costretta a passare al calcio femminile per me fu un trauma. Ero sfiduciata di dover cambiare ambiente, eravamo anche nel periodo della pandemia, così ci fu uno stop obbligato dell’attività sportiva e io pensavo di non riprendere più. Poi però fu il mio babbo a incoraggiarmi a ricominciare. Mi fece presente che il Pontedera aveva una squadra under 15, andai a fare una prova sia lì che alla Bellaria, dove con i colori verde e blu è stato amore a prima vista. Quest’anno sono la più piccola del gruppo, avendo 15 anni non ancora compiuti. Fra l’altro questo è un anno pieno di novità perché sarà il mio primo campionato di calcio vero in partite 11 contro 11! E, come se non bastasse, questa stagione è piena di novità anche grazie al progetto Figc “Non solo piedi buoni” a cui la mia squadra sta partecipando, andando a trovare a piccoli gruppi ogni martedì pomeriggio i ragazzi nostri coetanei di una comunità per minori che si sono trovati a vivere lontano dai loro genitori.
Oggi toccava a me e ad altre due mie compagne di squadra: abbiamo passato due ore piacevoli, noi calciatrici e i ragazzi della comunità, preparando degli addobbi per Halloween e sfogando la nostra vena artistica divertendoci tutti insieme. E’ chiaro che due ore non bastano per diventare amici però sono convinta che la presenza della nostra squadra ogni settimana in questo luogo di accoglienza abbia un significato forte, sia per noi che per i ragazzi che ci abitano. Per noi bimbe della Bellaria toccare con mano la vita quotidiana di una comunità per minori ci aiuta a capire cosa conta davvero, e a ridimensionare certe nostre bizze e certe nostre paranoie da adolescenti che a volte ci facciamo senza pensare che i problemi veri sono altri, per esempio quelli che questi ragazzi stanno affrontando insieme agli educatori, cercando con tanta forza di volontà di costruire il proprio futuro nonostante l’impossibilità di vivere vicino ai loro genitori. Per noi bimbe è anche bello vedere una comunità per minori con i nostri occhi e con il nostro cuore e non solo per sentito dire: da cittadina sono orgogliosa che l’Italia con i soldi pubblici mantenga belli vivi dei posti come questo, dove i ragazzi con genitori in difficoltà vengono amati e accompagnati da una famiglia speciale fatta di educatori, di compagni di comunità e di volontari come noi. Penso anche, dall’altra parte, che questa nostra presenza possa essere utile anche per i ragazzi e le ragazze della comunità: immedesimandomi in loro penso che sia forte la tentazione di considerarsi “sbagliati” o troppo diversi dagli altri ragazzi solo perché non puoi abitare a casa con i tuoi genitori. Il nostro stare insieme a loro con semplicità invece è un piccolo modo di dimostrare ai ragazzi l’esatto contrario: via tutte le etichette! Siete e siamo ragazzi, tutto qua.